Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verita che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perche durino, ma perche non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce.Con Troppa felicita, tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricita inedita, una scarica di tremenda liberta. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia.E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli e il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimita. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalita dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalita del male senza scampo.Non e cambiato il narrare di Alice Munro, e solo un po' piu lontano il luogo dove ci porta a incontrare noi stessi. E dove ci lascia, in medias res, sforbiciando una frase, a volte anche solo una parola, che non se ne va piu.Susanna Basso
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